Condivisione, partecipazione, crowdsourcing, reti di sviluppo: sono termini che sentiamo quotidianamente non solo per specificare progetti e metodologie legate al Web, ma anche per caratterizzare organizzazioni aziendali e nuovi modelli di business.
Un mix – reso possibile soprattutto dagli strumenti tecnologici a disposizione di un numero sempre crescente di persone, ma anche da considerazioni di carattere economico e culturale – che porta nuovamente alla ribalta il concetto di collettività.
Secondo il CCI, Center for Collective Intelligence del MIT, fondato da Thomas W. Malone, la dimensione collettiva dell’intelligenza è sempre esistita, fin dai tempi degli uomini preistorici che univano gli sforzi intellettivi – e non solo – esclusivamente per la sopravvivenza.
Il Web e l’abbattimento delle distanze fisiche non hanno quindi creato nulla di nuovo, sono piuttosto una sorta di “doping”, con la quale aziende, imprenditori e lavoratori si trovano a convivere.
Il pensare in maniera collettiva crea i presupposti della Weconomy, l’Economia del Noi, che si riassume nelle 5 C
connettività
collaborazione
cooperazione
condivisione
co creazione.
In questo contesto, la Weconomy concorre
allo sviluppo di nuove imprese, nate dal basso e frutto del lavoro di persone con conoscenze e competenze diverse
alla riorganizzazione delle imprese preesistenti
alla nascita di nuove figure professionali, che abbiamo approfondito nel post dedicato ai Knowledge Worker.
Per quanto riguarda l’Italia, un’indagine del CFMT, Centro Formazione Management del Terziario, svolta su un campione di oltre 1.000 imprese dei servizi e del commercio, evidenzia che il 20% delle aziende del terziario utilizza le piattaforme di social network, quelle cioè ritenute presidio della Weconomy. La più utilizzata in azienda è Skype (48%), seguita da LinkedIn (36,8%), Facebook (29,8%), Youtube (26,4%), e infine dalle piattaforme wiki (19%) e dai blog (17,3%).
L’impresa del futuro è quella che democratizza i processi gestionali, co-progetta e stimola la massa critica dei collaboratori per far emergere il loro talento all’interno dell’organizzazione. Nella stessa ricerca, il 52% dei manager intervistati ha affermato anche di aver adottato strumenti di “formazione più coinvolgente e condivisa”, e di aver favorito la creatività collettiva (26%).
Si tratta di un processo graduale, che richiede l’individuazione di regole e di buone pratiche, come ha già fatto l’Australia’s Department of Justice nella sua Social Media Policy.